La nostalgia e la tristezza: note delicate tra il frastuono delle emozioni

«Ma sì! il desiderio sarà
il mio cavaliere, e la tristezza
il mio abito di gala, la mia infatuazione
il tè del mattino, e le mie lacrime
la tisana per la sera».

(Ibn ‘Arabî, L’interprete dei desideri)

 

Se provassimo a vedere la nostalgia come il “dolore per un ritorno a casa”, forse potremmo accorgerci che si tratta di un sentimento che cura, perché se è vero che proviamo nostalgia per qualcosa che abbiamo amato, la capacità di amare sta sempre dentro di noi, al di là dell’oggetto perduto.

Negli insegnamenti sufi il divino è spesso chiamato l’Amato, un fuoco interiore alimentato dalla continua nostalgia per il desiderio del ricongiungimento, nonostante che, come soleva ricordare anche Claudio Naranjo, il divino sia più vicino a noi della nostra vena giugulare e si lamenti per la nostra continua distrazione…

Talvolta lo incontriamo, attraverso la bellezza, e l’esperienza intensa che si genera produrrà successivamente nostalgia.

E anche quando non incontriamo la trascendenza, la nostalgia è un sentimento che comunque ci accompagna gentilmente in un contatto interiore, senza bisogno di “urlare”, come a volte fanno invece le emozioni.

La nostalgia ci ricorda che abbiamo un passato, rispetto al quale di tanto in tanto abbiamo bisogno di rimettere insieme i pezzi… ci aiuta a cercare un senso alla nostra vita, costruendo un ponte tra ciò che eravamo e ciò che siamo.

E in questa ri-costruzione la nostalgia si interseca spesso con la tristezza, quando il ricordo va a qualcosa che fu e che non può più essere, a un tempo trascorso che non tornerà più.

Talvolta la nostalgia e la tristezza irrompono improvvisamente nel nostro presente, evocate da qualche stimolo esterno: sempre più raramente invece siamo noi a cercarle, perché troppo occupati a riempire il vuoto delle nostre esistenze, invece che a cercare un dialogo con la vita.

Così però rischio di essere retorico: e d’altra parte a che serve aggiungere altra negatività in un mondo che già ci sommerge di brutte notizie?

Invece forse qualcuno sarà più disposto a continuare questa lettura se aggiungo che la nostalgia e la tristezza hanno una importante funzione nel benessere psicologico ([1]): tutti oggi drizzano le orecchie quando si parla di salute e nessuno è più tanto disposto ad ammalarsi…

Ma di che cosa potremmo ammalarci se fossimo “carenti”, invece della vitamina D, di tristezza e nostalgia?

Di una malattia degenerativa che si chiama “solitudine”, che paradossalmente è contagiosa, come i virus e dalla quale, come dai virus, non si guarisce da soli.

Si, perché non sono pochi gli studi che dimostrano che la nostalgia e la tristezza ci aprono di più alla  compassione e quindi alla condivisione con gli altri, oltre a favorire un atteggiamento di maggiore accettazione rispetto alla sofferenza: dunque una medicina un po’ amara, mai però vomitevole, che  può senz’altro migliorare la vita, nostra e degli altri.

A meno che non si pensi invece che una soluzione migliore sia evitare le difficoltà che prima o poi sorgeranno in qualsiasi relazione, scegliendo un isolamento che può stare in piedi solo se sorretto da continue distrazioni da sé, illudendosi che il vuoto che così evitiamo non ci aspetti al varco dietro il prossimo angolo.

C’è poi un’altra questione: tutti noi, consapevolmente o meno, viviamo di speranze. Se così non fosse non ci alzeremmo dalla letto ogni mattina. E’ vero che sempre di più confondiamo la speranza di “essere” con quella di “avere”, come se un fatto concreto avesse in sè la capacità di farci stare bene, indipendentemente dal senso che gli attribuiamo nella nostra esistenza.

E tuttavia come potremmo alimentare una speranza senza percepire una sofferenza? Come scrive E.Bloch ([2]) “il vero, vitale essere è il non-essere-ancora”, o come afferma Moltmann ([3]) la speranza non è lo sguardo ottimisticamente diretto al futuro, bensì l’ immersione nelle potenzialità insite nel presente, quando l’uomo tenta di vivere cogliendo l’eternità nell’istante.

Ma come è possibile cogliere l’eternità nell’istante senza passare anche dai sentimenti? La tristezza talvolta ci rivela l’eterno, come nelle note di qualche capolavoro musicale o nella struggente bellezza di un tramonto; la nostalgia ci avvicina al mistero del tempo. Ma per non perdere questa profondità che è la base della speranza, occorre non aver paura di soffrire almeno un po’, per poi tornare a sperare.

Una “società senza dolore” è una società senza speranza: Byung Chul Han scrive che “il fermento della rivoluzione è il dolore percepito insieme” e pertanto “senza dolore non c’è neanche rivoluzione, né rinnovamento radicale, non c’è Storia”([4]) .

Tra i due poli dell’indifferenza e del frastuono emozionale, i sentimenti della tristezza e della nostalgia potranno allora davvero insegnarci a navigare per ritrovare la strada verso casa, per riscoprire l’interiorità , la poesia e la bellezza della vita.

 

Brano suggerito per l’ascolto:

Massenet: Thais. Act 2. Méditacion

https://youtu.be/kVYPjaVcRzk?t=18

 

 

[1] Routledge, C., Arndt, J., Wildschut, T., Sedikides, C., Hart, C.M., Juhl, J., Vingerhoets, A.J., & Schlotz, W. (2011). The past makes the present meaningful: nostalgia as an existential resource. Journal of Personality and Social Psychology, 101, 638-652.

[2]  E.Bloch, Speranza e utopia. Conversazioni 1964-1975, Mimesis, 2022

[3]  J.Moltmann, Teologia della speranza, 1970, Queriniana, 2008

[4]   Byung Chul Han, La Società senza sofferenza, Einaudi, 2022 (p.16-p.52)

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