Intimità e distanza

La voce interiore. Intimità deriva dalla radice latina “intra” (interior, intimus); è evidente anche dall’ etimologia come il riferimento sia a una dimensione che implica una interiorità profonda.

Intimità sarebbe dunque un contatto prima di tutto con la propria profonda interiorità; se possiamo avere esperienza di questo contatto è possibile evidentemente cercare un contatto anche con l’esperienza profonda dell’altro e aprire all’altro la nostra esperienza profonda.

Il problema è che l’Interiorità si contatta principalmente attraverso il silenzio e la quiete, dimensioni che mancano nell’ epoca contemporanea, in quanto esperienze fondamentalmente contemplative, più che pratiche.

“In interiore homine habitat veritas” diceva S.Agostino: oggi però siamo più che altro attratti dall’ esteriorità e cerchiamo in essa la soluzione dei nostri bisogni. L’esperienza dell’isolamento forzato dovuto alla pandemia avrebbe potuto essere una buona opportunità per riscoprire una dimensione interiore, non fosse che internet e la rete sono entrate di nuovo a gamba tesa dentro questa possibilità, deformandola e diminuendo ancora una volta il suo potenziale rivoluzionario, piegandola una volta di più alla sottomissione all i-commerce e all’oblio ludico; come scrive Byung Chul Han la mano prensile dell’ ”animal laborans”, abituata a manovrare gli strumenti per costruire, ha ormai lasciato il posto alle dita affusolate dell’”homo ludens”, molto più adattabili al joystick e alla tastiera [1].

Continuo a rimanere sorpreso nello scoprire come la psicologia accademica ancora oggi trascuri esperienze così basilari come quella dell’ intimità, relegandola spesso a poco più di una parte dell’esperienza sentimentale della coppia, quando invece potremmo dire che è forse il requisito fondamentale per conoscere se stessi, oltre che per formarsi alla relazione d’aiuto; saper stare soli, non con il proprio iphone, ma con se stessi, sarebbe dunque il miglior training consigliabile per chi voglia incominciare a formarsi come terapeuta.

Per accompagnare l’altro in un viaggio interiore alla scoperta di se stesso, è necessario infatti prima sapersi accompagnare nell’esplorazione dei propri vissuti emotivi e dei propri ricordi; ossia trattare se stessi intimamente, saper parlare con la propria voce interiore.

Il dialogo interiore diventa così la porta di accesso alla consapevolezza, mentre la distanza da sè stessi è probabilmente la principale fonte di malessere e sofferenza.

Così come Dante ha avuto bisogno di Virgilio per essere accompagnato nel viaggio dagli inferi al paradiso, il viaggio verso la propria interiorità necessita di un accompagnamento, che quando non è fatto dalla persona del terapeuta, può essere anche stimolato anche da se stessi, purchè sia fatto però con un atteggiamento comprensivo e compassivo: un incoraggiamento indispensabile per esplorare i lati più difficile oscuri del proprio carattere.

Occorrerebbe insomma trattarsi con gentilezza, avere un atteggiamento di autentico interesse per se stessi, sospendendo almeno per un momento il giudizio e la critica, in modo che la narrazione di sé scaturisca da quel minimo di distanza che aiuti ad avere una maggiore obiettività.

“Imparare a vedere” sarebbe secondo Nietzsche “la prima istruzione alla spiritualità[2]: si dovrebbe imparare “a non reagire subito a uno stimolo”; la mancanza di spirito, la meschinità, si fonderebbero sull’ ”incapacità di resistere a uno stimolo”, di contrapporgli un “no”. Reagire immediatamente e seguire ogni impulso sarebbe già una malattia, una decadenza, un sintomo di esaurimento.

La contemplazione richiede intimità e l’intimità richiede contemplazione: una intimità con se stessi che renda possibile l’intimità col mondo. Guardare la realtà esteriore con gli occhi di un bambino che la guarda per la prima volta; così come una intimità con l’altro, che non dia per scontata la differenza, che rimanga aperta alla meraviglia e allo stupore. Come dice Levinas, incontrare un uomo significa “essere tenuti svegli da un enigma[3]: l’Amore, per citare sempre Byung Chul Han, presuppone sempre un’alterità: quando si estingue ogni dualità si annega il Sé.

E l’intimità, come recita il bel titolo del libro di Francoise Jullien [4],  è una dimensione “lontana dal frastuono dell’Amore”.

 

Claudio Billi

 

Il secondo movimento del secondo concerto per pianoforte e orchestra di F.Chopin è, a mio avviso, uno dei più bei viaggi nella dimensione dell’intimità.

[1] Byung Chul Han, Eros in agonia, Ed. Nottetempo, Milano, 2019

[2] F.Nietzche, Il crepuscolo degli idoli, Opere, Adelpphi, Milano, 1972.

[3] E.Levinas, Alterità e trascendenza, Il Melangolo, Genova, 2006.

[4] F.Jullien, Sull’intimità. Lontano dal frastuono dell’amore, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.

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